Non sei sola – cura della cura

Aver cura della cura è un passaggio importante del nostro impegno. 

Riconoscere l’umanità e la dignità, accogliere le donne vittime di violenza e offrire uno spazio di ascolto delle loro storie, anche le più terribili ed indicibili, significa emanciparsi dagli stereotipi e dai pregiudizi, offrendo la possibilità di un percorso di ri-soggettivazione e di uscita dalla condizione di vittima e di riconoscimento del potere della propria umanità.

La modalità di abitare uno spazio di ascolto è un primo momento del prendersi cura che, nel caso di donne che abbiano incontrato devastanti esperienze di violenza, discende da come strutturiamo il discorso di cura a partire dal linguaggio comune nell’accezione di “vittima”, fuori da una accezione involontariamente dogmatica e ideologica nel definire una persona come vittima. Dogma e ideologia sono parti di una narrazione che può determinare una prospettiva di linguaggio involontariamente assertiva, che a sua volta implica un definire una persona bloccandola nell’assoluto di ciò che ha subito, identificandola in tale posizione. Una vittima è per sempre. Come un diamante. Accogliere e ascoltare le parole di queste donne significa incontrare la terrificante realtà dell’altro. Essere consapevoli della nostra posizione significa poter incontrare la dimensione archetipica della sopravvissuta e implicare uno spazio possibile, non ancora conoscibile, in cui potersi autorizzare a divenire oltre la dimensione del trauma.

Un mondo assuefatto alla violenza e alla sua mercificazione porta spesso ad uno slittamento delle identità di genere su un utilizzo del termine che definisce chi subisce e sopravvive alla violenza, che possiamo invece accogliere ed ascoltare sempre come una persona portatrice di una soggettività, di un sapere di sé che ha la possibilità di ridefinirsi uscendo dal cortocircuito ontologico del processo di soggettivazione bene-e-male e dentro-e-fuori. Tra essere soggetto di sé ed essere oggetto dell’altro. Ed è proprio questo slittamento, questa inversione di senso lo scoglio più delicato da superare.

Prendersi cura delle persone che accolgono e ascoltano queste storie implica la disponibilità a discendere le parole dell’inferno per riconsegnarci la possibilità salvifica di sentire il sentire a partire dal dare voce, parola, dignità ed agibilità a ciò che risuona nel mondo interno più profondo, e interrogare la competenza che possiamo esercitare (che siamo in grado di esercitare) sulla nostra competenza umana, sia essa esistenziale o professionale.

Per LABC è un onore aver rinnovato la collaborazione e il supporto alle colleghe, alle avvocatesche, alle operatrici e alle volontarie del Centro antiviolenza Non Sei Sola di Biella.

 

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